Sino a qualche decennio fa Napoli odorava di caffè. Le famiglie tostavano in casa le proprie personalissime miscele, delle quali ogni abitante, di ogni strada, ne custodiva gelosamente il segreto e ne magnificava l'aroma.
Nel dopoguerra in città sorsero centinaia di torrefazioni che letteralmente permeavano le mura dei palazzi degli odori di caffè e legna bruciata, piccole aziende che negli anni si sono spostate prima in periferia (ne ricordo un paio solo a Soccavo che ad intervalli regolari ci ammaliavano) e poi in provincia.
Per ritrovare il piacere di un luogo saturo di questi odori e comprendere come nasce la nostra amatissima bevanda, siamo andati a visitare la casa del caffè Aloia.
Aloia, è uno dei pochi marchi superstiti, tra quelli che campeggiavano nelle credenze dei nostri nonni negli anni '50. Passata per un paio di fallimenti, questa celebre casa è stata acquistata nel 1975 dalla famiglia Balestrieri che ancora oggi ne detiene la proprietà.
Ciro Balestrieri, oggi amministratore unico della società, ci introduce nel luogo di produzione del suo caffè.
Questa visita restituisce una nuova prospettiva al consumatore, un po' come stare dietro le quinte di uno spettacolo e capirne i meccanismi ed i retroscena.
Ecco i grandi sacchi di caffè di juta provenienti dal Brasile. Custodiscono le due qualità, arabica e robusta, che sapientemente miscelate determinano le proprietà organolettiche della nostra tazzina.
Impariamo a distinguere le due qualità: la robusta si presenta più tondeggiante, dai chicchi leggermente più grossi e dai bordi leggermente irregolari; l'arabica si riconosce per i chicchi più piccoli e dalla piattezza della parte centrale, quella per intenderci dove c'è la scalanatura.
La qualità robusta |
L'arabica |
I grani di caffè vengono introdotti nella tostatrice, una sorta di betoniera riscaldata a vapore con temperature attorno ai 200°C, dove rimangono per una ventina di minuti.
Vengono poi raffreddati, ripuliti da eventuali impurità e poi selezionati. La parte destinata alla linea bar, che rimarrà in chicchi, viene lasciata maturare mentre il caffè che allieterà le nostre colazioni viene subito macinato e confezionato.
Il macchinario per le buste di caffè sottovuoto |
A me, ha molto incuriosito la macchina per realizzare le pods, le cialde che ormai cominciano ad essere lo standard di vendita dai margini più interessanti per il produttore e, certamente, più comodo per il consumatore.
In pochi istanti il caffè è macinato, messo in forma e adagiato su una striscia di carta. Una seconda striscia di carta che viene "incollata" ne chiude la sommità e un istante dopo una tranciatrice ricava la cialdina così come la usiamo in cucina.
Lo stesso macchinario, imbusta le pods e realizza le confezioni che verranno poi chiuse dagli addetti all'operazione.
Nonostante questa descrizione si avvicini ad una puntata di "Come è fatto", il processo resta comunque artigianale, vuoi per le quantità non enormi di caffè lavorato di volta in volta, vuoi per il maniacale e continuo controllo del prodotto finale (il caffè è un vegetale e dunque, nonostante la selezione a monte, spesso è necessario variare i parametri di tostatura e macinatura), di certo per l'atmosfera di cordialità e per la passione che si respirano insieme all'odore del caffè.
Giovanni, memoria storica della Aloia |
Cordiale e passionale: probabilmente sono due degli aggettivi che connotano nell'immaginario collettivo il popolo napoletano e che possono essere usati anche per le miscele tipicamente partenopee di Aloia.
Ciro "Aloia" Balestrieri è POP! |
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